Storie

Storia di Lucia: «Ogni esame clinico è un’odissea e le spese non sono sempre rimborsate»

 «Quando ho chiesto spiegazioni, nessuno è riuscito a darmele. Non una sola persona era informata sulla questione ». Lucia – nome di fantasia per la delicatezza dell’argomento – racconta con rabbia e con coraggio il calvario affrontato da lei e da sua figlia per effettuare l’esame diagnostico della Gaucher, malattia rara che colpisce milza, fegato e midollo osseo. «A marzo – racconta – mi sono recata a Roma per le indagini sulla patologia. Mi era stata fatta una richiesta con codice di esenzione per me e per mia figlia, ma quando siamo arrivate all’accettazione, ci hanno comunicato che l’esame è a pagamento e costa 110 euro per persona. Nessuno sapeva chiarirmi la situazione. Con codice di esenzione per malattia rara, come mai dovevo pagare un esame specifico proprio per malattia rara?». Lucia, già reduce da più battaglie vinte contro un tumore e con il marito disoccupato, non voleva lasciare la capitale senza aver effettuato il dosaggio enzimatico. Sua figlia adolescente, tra l’altro, è già affetta da una patologia genetica rara non ancora diagnosticata con chiarezza. «Venendo da Bari – continua  – non avevo a disposizione i soldi, ma non se ne parlava di tornare a casa senza soluzioni». Dopo un giro di telefonate a medici e ospedali, la maggior parte delle quali rimaste senza risposta, Lucia ha saputo che, nella Regione Lazio, l’esame in questione non era stato inserito fra quelli per malattia rara. Ecco svelato il mistero del pagamento dovuto. Spesso i «malati rari» devono attivarsi in prima persona per cercare, riuscendo poi ad acquisire più informazioni dei medici sulla patologia con cui convivono. «A questo esame – aggiunge combattiva – dovevamo necessariamente sottoporci, quindi, tornati a casa, con il grande aiuto dell’associazione delle malattie rare dell’Alta Murgia, abbiamo continuato a fare innumerevoli chiamate per trovare un ospedale che effettuasse il dosaggio enzimatico con l’esenzione. Finalmente, dopo diversi tentativi, un medico si è occupato del prelievo nel suo reparto, provvedendo poi a spedirlo in un centro specializzato». Come Lucia, tanti altri. Voci silenziose, troppe volte inascoltate. Sono 16mila i malati rari pugliesi. Quattrocento hanno il codice di malattia rara ad Altamura, anche se diverse persone non registrano alla Asl la propria patologia perché già in possesso dell’invalidità o perché non ancora riconosciuta dalla normativa in vigore. «Mio figlio – racconta Salvatore – tre anni fa è stato sottoposto ad un esame molto invasivo in Puglia. I medici hanno mandato il prelievo a Padova per le analisi. Ancora oggi non ci sono riscontri certi. Rinviati i risultati in Puglia, nessuno è riuscito ad interpretarli. La cosa risulta assolutamente possibile per la complessità e la rarità del caso, inaccettabile, però, che alla fine ti lascino in balia delle onde ». Le lamentele riguardano anche la «mancanza di collaborazione e la rivalità » tra camici bianchi. «La conseguenza – tuona Rocco, affetto da sindrome di Poland – sta nell’incapacità di dare un esito alle indagini a cui ci sottopongono. Tanti medici di base partecipano ai seminari sulle malattie rare solamente quando garantiscono crediti formativi. E poi, con l’entrata in vigore della legge Lorenzin, che dovrebbe servire ad evitare gli esami inutili, i medici non ci prescrivono più i controlli periodici di cui abbiamo bisogno. La nostra sintomatologia varia nel tempo e gli esami sono necessari.

Annamaria Colonna

Carla: la sua sindrome complica la possibilità di una vita di coppia

«Me ne accorsi perché non avevo il ciclo, mi mancavano utero e vagina». Era un’adolescente di 17 anni, Carla, quando le fu  dagnosticata la sindrome di Rokitansky, malformazione congenita che colpisce una donna su quattromila. La ragazza, ora 23nne, sta imparando a convivere con questa malattia rara. Non può avere bambini. Si è sottoposta ad un intervento per la ricostruzione della vagina in una clinica specializzata di Milano, il «Mangiagalli». Poi, la «tappa più difficile da sopportare. Avrei dovuto fare degli esercizi per mantenere la vagina aperta – racconta – e per garantirmi una vita sessuale normale ». A quasi cinque anni dall’inter – vento, Carla continua a fare quegli esercizi. Smetterà solamente quando incontrerà un ragazzo con cui condividere sentimenti e rapporti fisici. «Qui sta il punto», confessa. «Ho paura che l’altra persona non riesca ad accettare la malattia e l’idea di non poter avere figli. Tutto ciò – aggiunge – provoca una profonda tristezza». Costretta a crescere troppo in fretta, Carla non si arrende. «Ci sono tante ragazze che convivono con la sindrome di Rokitansky e chiacchierare con loro ti fa sentire meno sola. Spero un giorno di sposarmi e di adottare dei bambini ». Non sono rare le storie sulle malattie rare. Raro, forse, è sentirne parlare. «Lei ha una ipotrofia testicolare, non può fare il militare». Anche il calvario di Angelo, chiamato sindrome di Klinefelter, ha avuto inizio all’età di 17 anni. La malattia, genetica, colpisce un uomo su mille. È causa di sterilità e di ritardo nello sviluppo.

Storia di Angelo

Ne sono passati 31, di anni, e Angelo riavvolge il nastro della memoria. «Al momento della diagnosi – racconta – ho iniziato un trattamento ormonale con steroidi androgeni, portato avanti fino ai 23 anni. Purtroppo all’e poca non si riuscivano a raccogliere tutti i dati che la tecnologia mette oggi a disposizione. Ciò non ha consentito ai miei genitori di conoscere la malattia a tal punto da permettermi di prelevare gli spermatozoi per darmi una possibilità di paternità. Inoltre, dai 23 anni fino ai 41 non ho mai ricevuto informazioni che potessero farmi sospettare un crollo fisico». «La mia vita – continua – è stata messa in pericolo perché per 20 anni non ho assunto testosterone, di vitale importanza per chi soffre di questa patologia».

Storia di Roberta

La malattie rare sono congenite e, nella maggior parte dei casi, genetiche. «Mi preoccupa il futuro dei miei figli, che non ho sottoposto all’esame genetico perché ancora piccoli», sottolinea Roberta, 38 anni. Ha la sindrome di Lynch, forma ereditaria di tumore al colon. Ogni familiare di primo grado di una persona con tale patologia conta il cinquanta per cento di probabilità di essere erede della predisposizione a sviluppare tumori. «Infatti anche mio padre – confessa Roberta – ha la stessa sindrome, solo che lo ha scoperto nel momento in cui mi sono stati fatti i controlli genetici»

Storia di una Poems

Ciao a tutti sono una donna di 56 anni sposata, madre e nonna.Vi racconto le vicissitudini della mia malattia rara. Tutto é cominciato quattro anni fa quando dopo aver avuto problemi con alcuni famigliari mi sono chiusa in me stessa, non volevo ascoltare e vedere nessuno, ero delusa, arrabbiata, facilmente irritabile e piena di pensieri negativi e anche quando qualcuno provava a starmi vicino e rendermi la vita più leggera mi infastidiva, non c’era verso di tirarmi su il morale e andava sempre peggio, alcune volte restavo a letto tutto il giorno tra le lacrime, rifiutavo anche di farmi visitare da un medico. É andata avanti così per qualche anno, aspettando inutilmente che chi mi aveva ferito venisse a chiedermi scusa, ma non é mai successo. Dopo mesi e mesi di angoscia questa mia forte mancanza di vita mi ha portato ad avere vari disturbi corporali iniziando da dolori lancinanti alla testa e ad una parte del viso.Sono stata subito portata al pronto soccorso, ma lí hanno spiegato che era solo un problema ai denti e dovevo rivolgermi da un dentista, da allora avevo quotidianamente questi dolori che curavo solo con antidolorifici e cortisonici ma che non avevano alcun effetto e neanche le cure dentistiche alleviavano i miei malesseri. Dopo un’anno trascorso in questo modo comincio un nuovo calvario; le dita delle mani e dei piedi diventavano viola  e dopo essere stata ricoverata e visitata da uno specialista venni dimessa con sindrome di Raynaud e cominciai una cura. Neanche questa però mi aiuta fisicamente e psicologicamente infatti dopo qualche mese la situazione sembrava peggiorata e a tutto questo si aggiungevano formicolii e dolori osseo-muscolari.Ero perennemente stanca, perdevo peso ed il mio senso di infelicità cresceva sempre di più, infatti il medico decise di inserire nella mia cura anche alcuni antidepressivi. Con il tempo il mio umore era migliorato, ma facevo sempre più fatica a fare le cose abituali come vestirmi e scendere le scale, anche la vista non era più la stessa. Ancora tutt’oggi dopo aver cambiato varie cure e consultato vari specialisti, vivo con dolori quotidiani che peggiorano giorno dopo giorno, le mie giornate sono scandite da assunzioni di farmaci e sedute di fisioterapia. Mi rendo conto che provo sempre un senso di inadeguatezza perché non riesco a fare quello che vorrei, ma purtroppo non é semplice metabolizzare una situazione che ti cambia la vita e ti lascia piena di paura e di preoccupazioni. Quello che sento é un dolore intenso e persistente che mi fa sentire inutile ed incompresa alcune volte anche dai medici che ad oggi dopo vari ricoveri non hanno ancora una diagnosi certa, ma continuano a farmi fare cure palliative piene di controindicazioni ( cortisone, vasodilatatori, immunosoppressori, antibiotici, antidolorifici, chemioterapici…). A pesare su tutto questo oltre ai lunghi tempi per la diagnosi c’è la necessità di spostarsi per avere ulteriori risposte e se purtroppo questo non é possibile il malato viene lasciato a se stesso aumentando cosi l’isolamento sociale e la fragilità della famiglia. Attraverso le associazioni come A.Ma.R.A.M dove ogni membro mette a disposizione la propria esperienza dando sostegno a chi ha bisogno di aiuto, ho capito che non sono sola, i malati affetti da patologie rare sono circa 8000 mila ed insieme possiamo aiutarci. Vivere con una malattia rara ci pone di fronte a delle sfide e per superarla bisogna mantenere un atteggiamento positivo, io spero di riuscirci sempre, cosi da poter arrivare anche nel mio caso ad una diagnosi e poter dedicare a tutti coloro che ne hanno bisogno la mia esperienza.